sabato 24 maggio 2014

L'insegnante è fuori a pranzo



Ed ecco che è finito un anno di scuola. Questa volta, a differenza delle altre, stavo dall'altra parte della barricata, dietro una cattedra, con una fila di bambini in tenuta da combattimento dall'altra.
Una guerra, signori è stata, un fottuto Vietnam, con bambini pitturati di verde che si nascondevano sotto i banchi e sputazzavano riso con la penna bic (cit). Scorregge e flatulenze che costringono anche il più coraggioso ad aprire la finestra e boccheggiare.

E bambini. In tutte le salse possibili e immaginabili, biondi, dal rompicoglioni che passa la lezione a chiamare il compagno di banco con un tubo nel naso, a quello che arriva e fa la vittima, dicendoti "maestro, mi picchiano ". Ma sopratutto bambini. Sopratutto bambini poveri.



Sono finito a lavorare in una zona povera, una di quelle che spuntano sui giornali più per gli omicidi legati allo spaccio di droga che per le feste di quartiere. I genitori dei miei alunni sono per la maggior parte in carcere, sopratutto i padri, uno dei bambini, chiamiamolo Sid, ha il padre in carcere perché a quanto pare "gli hanno trovato farina nella macchina" il padre uscirà tra tre anni, ne ha già passati tre dentro. Doveva essercene parecchia di farina dentro quella macchina.  Un'altra, che chiameremo Lemon, ha, pensate un po', anche lei il padre in carcere, perché ha litigato con i carabinieri, la madre è uscita dal carcere pochi mesi fa, fino ad allora era affidata alla nonna.  L'ennesima storia di farina finita nel mulino sbagliato.

Giusto per mettere giù in numeri qualcosa che non può essere messa in numeri, circa metà della mia classe ha avuto problemi con la polizia, indirettamente, sia chiaro, non sono mai entrati con un avviso di garanzia a portarmi via un bambino perché era diventato un galoppino della mala, per adesso, almeno.

Perché non crediate che vivere in un quartiere di merda, con gente di merda, non faccia venire su male, anzi, malissimo. Potrei stare ore a raccontare aneddoti su quello che è capitato al cugino di, o al fratello di, qualcuno della mia classe, e non sarebbe sufficiente per descriverli comunque.

Come cresci sapendo che tuo padre è in carcere e non uscirà per i prossimi dieci anni? Come cresci con una madre che passa buona parte del tempo ai videopoker?

Qualche mese fa si era avvicinata la "zia" di un bambino per recuperarlo da scuola, non stava bene, poveretto. La zia mi ha chiesto se potevo scrivere io il nome del nipote, perché lei non sapeva scrivere.

Entrano in classe e li guardo negli occhi, il più fortunato di loro verrebbe considerato un'accumulo di problemi da qualunque altra parte.

E non funziona come nei film che arriva il maestro speciale e i bambini improvvisamente oh oh oh!  Per magia stanno meglio, e l'insegnante va a parlare a casa dei genitori per spiegargli quello che non va e loro capiscono e siamo tutti felici.
Qui, nella realtà, sul pianeta terra, il maestro prova a chiedere un colloquio con un genitore a cui spesso e volentieri non scende il culo di andare a parlare con qualcuno che tirerà fuori più problemi di quelli che già aveva, quindi magari non si presenta, e per qualche giorno non vedi nemmeno il bambino. Quando invece riesci a parlare con i genitori, secondo loro la colpa è sempre del bambino, e in ogni caso loro non possono farci niente, perché quello non ha voglia di studiare, e loro cosa possono farci?

Signora, suo figlio ancora non sa leggere in terza elementare, almeno provi ad aiutarci, gli spieghi a casa la differenza fra consonanti e vocali!

Signora: Ma non la conosco manco io, che cazzo gli devo insegnare?


E allora penso a me stesso, a quanto sono stato fortunato ad avere la madre eccezionale che ho avuto, e quanto poteva andarmi peggio, molto peggio.

E allora il dovere del maestro non è certo quello di raddrizzare un futuro che per alcuni appare già compromesso, è una lotta impari, puoi spiegare quanta storia ti pare, ma verrà seppellita da una grandinata di ceffoni a casa. Allora capisci che l'unica cosa che puoi fare è tentare di lasciare una traccia nel bambino. Una traccia che possa attecchire, un giorno, come buttare dei semi un po' a casaccio su un terreno incolto e sperare che qualcosa cresca. Non oggi. Non domani. Un giorno.

O almeno questo è quello che mi racconto per non starci troppo male.

P.s.: Dove insegno io sorgeva un istituto di ricerca, il Mario Negri, tra i più importanti d'Europa, ora è ridotto ad una mezza schifezza, la sede si è spostata anche a causa delle contestazioni della popolazione del quartiere, convinta che chissà quali efferati crimini si svolgessero al suo interno. Tutto quello che rimane adesso è un edificio lasciato alla mercé dei tossici e delle intemperie. Se fosse un film uno dei miei studenti diventerebbe un ricercatore fenomenale e lo riporterebbe alla gloria, con tutta la gente del quartiere a cantare canzoncine e tirare fiori.

Ma la vita non è un film.
 





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