domenica 17 agosto 2014

Scrivimi del sushi



Scrivere è difficile e non perché sia difficile conoscere la grammatica, la sintassi, o perché sia particolarmente complicato mettere una frase dopo l'altra per esporre un concetto. Scrivere è difficile perché, quando si scrive, bisogna spogliarsi in qualche modo del proprio ego.

Quando scrivi devi smettere di pensare a te stesso, alle tue cazzate, alla fidanzata che ti ha mollato, al vicino che ti rompe i coglioni con la musica House e alla padrona di casa con il  viziaccio di chiederti l'affitto ogni mese.

Ti tocca pensare a qualcun atro, che non sei tu. Questa è la cosa difficile dello scrivere. Ti tocca pensare che la persona che ti legge, non ti legge perché sei la persona più incredibile del mondo, un tizio fighissimo capace di sollevare i pesi con l'uccello e veloce come Usain Bolt, ma ti legge perché stai raccontando qualcosa di lui.



Il lettore va stuzzicato. Ammaliato, forse. Ma il lettore non è un tizio che ti sta guardando declamare su un palco le tue poesie di merda con il sottofondo di un orchestrina Jazz sfigata al bar dello sport di Capocchiate sul Reno (Bo). Quel tizio che declama poesie sul suo desiderio di una fica, nascosta dietro abili parafrasi e metafore, è un coglione inutile, che, se il mondo fosse giusto, sarebbe stato appeso per i piedi molto tempo fa e picchiato selvaggiamente da tutta la gente che sta nella sala a bere martini dry e amaro del capo, concedendosi all'illusione di star ascoltando qualcosa di artistico.

Perché la scrittura, caro il mio poetello della minchia, non ha niente di artistico, non nel senso in cui lo intendi tu. La poesia, come la prosa, è fatta per dare qualcosa al lettore, mentre tu la utilizzi per specchiarti nelle pupille di quei mongoloidi che ti guardano sbavare su un palchetto. E loro sono altrettanto colpevoli per la tua pochezza, perché te la concedono, in cambio dell'etichetta di «intelletuali».

Come se bastasse una maglietta di Nietzche e una sciarpa per essere intellettuali. E una faccia addolorata, uh, quasi dimenticavo.

Che quando li vedo in giro, agghindati di tutto punto, non capissi chi sono e cosa vogliono che io pensi. E la loro faccia, Dio santo, mi fa venir voglia di schiaffeggiarli tutti, uno alla volta, per l'eternità. Di solito vivono con la madre, a cui dedicano la loro prima raccolta di poesie che comprenderà un titolo incomprensibile tipo «le matite scoppiate dall'uragano» e una copertina disegnata dal loro compagno di banco eroinomane che disegnava puttanate durante la lezione. Ecco, mi piacerebbe che questi ceffi sapessero che non mi possono imbrogliare, non più, almeno da quando ho compiuto sedici anni.

Perché se il massimo della sofferenza che hai vissuto è non poter andare a mangiare al giapponese perché la tua mammina non ti presta i soldi, ehi amico, non hai diritto di tener su un grugno da «hanno stuprato tutta la mia famiglia con un cavo elettrico e poi hanno bruciato la casa col napalm.

Con il lettore devi essere onesto. Se avessi intitolato la tua raccolta : «Tra un sushi e l'altro» avresti intanto

a) Avuto un titolo migliore

b) Non avresti tentato di inculare il tuo lettore, spacciandoti per un rivoluzionario che ha passato trent'anni in Nepal a combattere l'occupazione cinese.

Questo è il minimo sindacale se vuoi che qualcuno ti legga. Perché tutti possono raccontarmi la storiella stereotipata del poeta/scrittore sofferente che ha avuto una vita di pene e sofferenze, ma se non le hai vissute veramente, allora quello che mi stai vendendo e fuffa fritta della peggior specie, e non perché io sia interessato alla sofferenza. Ci sono in giro un sacco di scrittori felici della propria vita, che non hanno mai patito la fame, non si sono mai drogati e non hanno mai avuto problemi in famiglia. E raccontano storie fantastiche. Le loro storie.

Ecco perché scrivere è difficile. Ogni tanto arriva la tentazione di agganciarsi a qualche storiella sentita in giro, da qualcun altro, e far finta di essere tu, quella persona. A chi non affascina la vita di Buckowski? Peccato che se non sei Charles Buckowski, tu quella storia non puoi descriverla, l'unica cosa che otterresti è un minestrone di quelle che sono le tue convinzioni sulla sua vita.

Eh, però tutti i più grandi scrittori hanno mentito sulla propria vita! Hemingway ha raccontato di aver combattuto in guerra, ma era solo un infermiere!

Giusto. Peccato che quel bastardo, in un modo o nell'altro, la guerra l'ha vista, ha visto in prima persona i risultati di una bomba esplosa a distanza ravvicinata, ha toccato i cadaveri, sentito la puzza di morto, si è ritirato assieme al suo plotone quando arrivavano i nemici. Ha creato una variazione sul tema, perché gli piaceva di più. Ma rimane sempre la sua storia.

Anche voi potete raccontare di essere andati in un ristorante di pesce calabrese, invece che in un sushi bar a Milano. Sempre che sia stato in Calabria almeno una volta, s'intende. E puoi star sicuro che m'interessa molto di più sapere di quello che capita in un sushi bar a Milano, dove tu sei stato davvero, che quello tu pensi succeda in Congo, durante una guerra che hai visto al massimo in televisione. Perché, amico, quella trasmissione l'ho vista anche io, e non mi frega un cazzo di come la pensi tu su Utsi e Tutsi, se lo volessi sapere, te l'avrei chiesto. Peccato che non me ne freghi un cazzo di niente.

Raccontami di quella volta che hai mangiato sushi avariato e hai cagato l'anima tutta la notte mentre la tua fidanzata ti prendeva per il culo. Questo m'interessa.

E da questo arriviamo al motivo per cui l'Editoria Italiana arranca, ci sono troppi scrittori (che non leggono) e troppi (potenziali) lettori che dopo aver provato un paio di questi scribacchini ha deciso che forse la lettura era una cosa troppo noiosa, da intellettuali, appunto. Una cosa che si fa a scuola, ma non è divertente per un cazzo.

Chiaro, se a quindici anni tutte quelle che incontri sono tizie lesbiche che quando ci vai a letto ti prendono a schiaffi, ti sbattono sul letto solo per prenderti a calci nei coglioni e infine ti innaffiano di cera bollente, forse il sesso ti sembrerà una merda. (Oltretutto, potrebbe sembrarti meglio la tizia che invece che usare la cera bollente, ti piscia in testa).
L'editoria si è suicidata (consapevolmente) quando ha deciso di promuovere scribacchini noiosi proponendoli come grandi pensatori, nello stesso modo in cui il cinema Italiano impegnato è diventato un letamaio grazie ad una banda di mongoloidi incapaci, fiera di farsi chiamare intellettuali.

Potete biasimarmi se preferisco il sushi?

Kurdt Agus

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