Ieri sera, una mia cara alunna mi ha scritto un messaggio, in realtà sono passati sette anni da quando per l’ultima volta è stata una mia alunna, eppure, lei si ricorda. E anche io mi ricordo perfettamente, per me, è ancora una mia alunna e lo sarà per sempre. Mi ricordo tanto bene che, l’ultimo giorno di scuola, avevo scritto questo articolo. In un modo che con il senno dell’oggi suona quasi profetico.
Una bambina eccezionalmente intelligente che, ormai diciottenne decide di mandare un messaggio semplice, dove mi ringrazia per tutto quello che le avevo insegnato. Mi ha commosso nel profondo. Io a diciotto anni non avrei mai pensato di scrivere un messaggio alle mie maestre delle elementari, che, bontà loro, erano anche brave donne.
Eppure nello strano
mescolarsi degli anni, dei ricordi, degli eventi, qualcosa
sicuramente accade, e ci sono persone che ci rimangono impresse,
persone che poi prendiamo ad esempio e modello.
A me è
successo alle scuole medie, con un insegnante che si chiamava Pino
Cara. Un insegnante, manco di ruolo, che lavorava in una piccola
scuola della provincia di Cagliari nei primi anni novanta. Arrivava
con una macchina tutta sferragliante, voci raccontavano che non
avesse manco i soldi per la benzina, perché gli stipendi all’epoca
arrivavano in ritardo, se non eri di ruolo. Eppure, in
una classe come quella in cui stavo io, dove si andava letteralmente
in giro col coltello e le risse capitavano ogni giorno, una classe
dove la lingua italiana era al massimo tappezzeria, questo povero
cristo ci era caduto.
E ricordo con chiarezza l’assoluta determinazione di quell’uomo
nell’insegnarci qualcosa, non per forza qualcosa che avesse a che
vedere con la lingua italiana, ma voleva insegnarci qualcosa, perché, santi numi,
qualcosa da insegnare lo aveva Pino Cara, e lo avrebbe fatto.
Avrebbe insegnato ad una classe di criminali, o quasi, che non c’era bisogno di studiare l’italiano per
essere degni di riconoscenza umana, che anche quello che non faceva
dei grandi temi poteva avere intuizioni poetiche, che riparare un
motore valeva almeno quanto saper scrivere una lettera e che tutti,
tutti senza eccezione facevano
parte di quella classe e dovevano rispettarne le regole di umanità e decenza.
E se non capivamo, ci spiegava di nuovo, s’incazzava anche, Pino Cara, tanto da farsi venire le vene tutte rosse sul collo e far piombare un silenzio metallico sulla classe intera. Ed era capace di gentilezza, trovava le pietre preziose nascoste nell’umanità quell’uomo, dentro persone che nemmeno sapevano di nascondere un filone d’oro.
Tutti
volevamo bene a quell’insegnante. Tutti abbiamo imparato qualcosa, soprattutto
quelli con
un percorso scolastico cesellato di insuccessi. Per loro
Pino Cara era stato il miglior insegnante del
mondo.
E
io? Beh, sono passati trent’anni e vi sto raccontando di lui.
Quanto
mi piacerebbe fargli sapere tutto quello che ha significato per me,
per tutti gli altri.
Sono
certo che lo renderebbe felice.
E questo per dire che
anche se non ce ne rendiamo conto, tutto porta frutto,
veniamo lentamente macinati dal tempo e dallo spazio, ma quello che
facciamo non sparisce, diventa polvere che concima l’universo. Non
è una questione di debiti e crediti, la
gentilezza si espande. La
immagino un po’ come lanciare un sasso nello stagno, dal punto in
cui avviene si espandono onde concentriche, conseguenze, che
proseguono per sempre.
Per sempre suona
come un sacco di tempo, perché lo è. Molto tempo dopo che voi
sarete morti, le conseguenze delle vostre azioni continueranno a
riverberare.
Sono
cose che ho sentito spesso dire, quando ero più giovane, ho sempre
pensato che fossero sciocchezze, sapete?
E ora, che lentamente
ma inevitabilmente assisto alle conseguenze di quello che ho fatto
presentarsi, ora che vedo i germogli di quello che ho fatto e che
continuo a fare, germogliare e crescere, ho capito che no, tutto
quello che facciamo porta frutto, siamo figli di quello che è
successo prima di noi, lasceremo qualcosa dopo.
Kurdt.

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